Sulle tracce di Lucy – donne d’Etiopia
a cura di Ernesto Riccobelli
Lucy in the Sky with diamonds cantavano i Beatles quando gli archeologi Johanson e Gray scoprirono i resti del più antico ominide mai ritrovato; e, poiché si trattava di una femmina, decisero di darle il nome della canzone. Oggi lo scheletro di Lucy è esposto nel museo nazionale di Addis Ababa, e fa impressione pensare che quel mucchietto di ossa che non arriva al metro di altezza appartenesse ad una persona vissuta oltre tre milioni di anni fa.
La vita pullula per le strade della Capitale. Molti ragazzi ci avvicinano, ci stringono la mano: “Hello! Welcome to Ethiopia” ci dicono sorridendo. Alcuni bambini si fanno cautamente e timidamente avanti tentando di venderci caramelle, o accendini.
Lungo la strada principale peraltro da pochi anni asfaltata, che da Addis Ababa, ci porta a Sodo, incrociamo pochissimi mezzi: autobus sgangherati , qualche fuoristrada e camion. Per il resto, solo persone. Uomini, donne, bambini che camminano a piedi nudi sull’asfalto scottato dal sole, diretti chissà dove. Ognuno va verso il proprio destino: donne chine sotto ceste piene di sterco seccato che verrà usato come combustibile ; giovani, per lo più bambini guidano le mandrie; ragazzi vestiti con colorate divise di calcio percorrono chilometri verso la scuola più vicina. E poi tantissima altra gente che procede, sotto il sole, camminando con calma per decine di chilometri ogni giorno in terre prive, di acqua. Sono così tanti che il nostro autista deve suonare il clacson in continuazione per allontanarli. E poi le mandrie, di mucche, di pecore, di capretti, che si parano davanti al nostro fuoristrada come se la strada fosse loro. E poi ci sono i bambini; migliaia e migliaia di bambini che camminano formando una fila interminabile ci salutano festosi. Alcuni, piccolissimi conducono le mandrie lungo la strada, altri trasportano taniche di plastica gialla utilizzate per contenere la preziosa acqua. Quando ci fermiamo a fotografare veniamo subito circondati da bambini spuntati fuori da chissà dove che ci sorridono e ci guardano come fossimo alieni.
Indossano per lo più una divisa di calcio logora e scolorita, forse l’unico indumento che abbiano mai posseduto, sono scalzi, si lavano negli stessi ruscelli dove le bestie si abbeverano e, talvolta addirittura si approvvigionano di acqua. La maggior parte delle loro case sono sprovviste di corrente elettrica e acqua, mangiano quando capita, i letti sono pagliericci di foglie di banano stesi in terra. Sembrano felici, i loro sorrisi, la brillantezza dei loro occhi ci disarmano mentre le mosche camminano indisturbate sulle facce.
Mi vengono in mente i nostri figli, i nostri nipoti, forse anche viziati, ricoperti di giocattoli e di attenzioni.
Di donne sono poi le migliaia di braccia che coltivano e recidono fiori nelle immense campagne a sud della capitale, dove crescono le rose che ogni giorno arrivano in aereo in Europa. E di donne sono le sagome chine al tramonto sui campi di teff, l’unico cereale che cresce a queste altitudini, la cui farina è materia prima per il cibo nazionale etiope, una spugnosa focaccia chiamata injera .
Si ringrazia particolarmente l’Associazione ONLUS SORRISI PER L’ETIOPIA che ci ha permesso di conoscere questa particolare inimmaginabile realtà che ha scosso le nostre coscienze.
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