A 50 anni dalla morte di Enrico Mattei, il marchigiano “pescatore del sogno italiano”
di Pamela Temperini
“La vita di ogni uomo finisce nello stesso modo. Sono i particolari del modo in cui è vissuto e in cui è morto che differenziano un uomo da un altro”. Ernest Hemingway
Una sfera di fuoco turba il cielo di Bascapè, nel Pavese. Silenzio, per poco. La notizia sarà presto di dominio pubblico. “La vecchiaia non è divertente” aveva detto Giorgio Bocca in una delle ultime interviste rilasciate poco prima della sua scomparsa. Su questo Enrico Mattei, presidente dell’Eni, non ha potuto pronunciarsi perché il 27 ottobre 1962 in quella palla di fuoco, tra i rottami del bireattore Morane Saulnier 760 che ha mandato letteralmente in pezzi la sua vita e quelle del giornalista William McHale e del pilota Irnerio Bertuzzi, aveva solo cinquantasei anni, pochi ma vissuti da leone, come lo ha ricordato il poeta Guido Oldani. Di contro avrebbe potuto dilungarsi non senza una punta di commozione nel ricordare l’infanzia e l’adolescenza divise tra Acqualagna, che gli ha dato i natali nel 1906, e Matelica dove è cresciuto ed è diventato un uomo, il maggiore di cinque figli e il più grande “assillo” del padre, l’integerrimo brigadiere Antonio Mattei, celebre per la cattura del brigante Musolino nell’Italia postumbertina, che sperava come tanti genitori che almeno il primogenito conseguisse una laurea. Enrico, così chiamato per volere di nonna Ester in omaggio al protagonista del libro Cuore, è vivace, sveglio, molto intelligente ma, contrariamente alle aspettative del padre, molto poco propenso allo studio. Preferisce passare i pomeriggi con gli amici per le vie del centro o a pescare, la sua più grande passione alla quale non rinuncerà mai, insieme alla buona cucina. Per cui, abbandonata ogni velleità, la famiglia si rassegna all’idea di mandarlo a lavorare come verniciatore in una fabbrica di letti metallici. Questo lavoro e quello in una conceria danno una svolta alla vita del ragazzo che, forse per il senso del dovere trasmesso dal padre e per il pragmatismo e l’intraprendenza ereditati dalla madre, Angela Galvani, dà un freno alla sua irrequietezza, mette la testa a posto e nel giro di pochi anni da operaio diventa direttore tecnico dell’azienda. Enrico ha trovato la sua strada e continuerà a percorrerla una volta arrivato a Milano, costretto a lasciare la provincia per la grave crisi economica del ’29, e armato delle competenze acquisite sulle vernici e sui solventi apre un’azienda tutta sua, l’Industria Chimica Lombarda. Partire, lasciare la famiglia, i luoghi in cui si ha radici ed affetti profondi non è stato semplice, dopo tutto. I marchigiani sono legatissimi alla loro terra e in questo Enrico non è stato da meno. Ogni occasione era buona per tornare a casa, anche se per poco, come per respirare una boccata d’aria buona. Ma Mattei aveva in sé anche lo spirito d’intraprendenza e di laboriosità tipico dei marchigiani, quella tenacia che muove i progetti, che smuove gli ostacoli e che lascia l‘effervescente sensazione di avercela fatta con le proprie forze.
Quando nel 1945 viene nominato commissario liquidatore dell’Agip, Azienda generale italiana petroli, con l’incarico di chiudere un’impresa pubblica che in quasi vent’anni era costata allo Stato svariati milioni di lire senza avere trovato il petrolio in Italia, scatta nel giovane imprenditore la voglia di fare e non di disfare, com’era nelle sue corde. In questi anni del secondo dopoguerra, molte “valigie di cartone” sfilano a malincuore sulla passerella delle navi, come l’Augustus, con destinazione Sudamerica o altri paesi lontani in cerca di opportunità di lavoro, nella speranza di riscattarsi dalla miseria di una patria annientata dalla guerra e umiliata dalla sconfitta. Per chi resta ci sono le macerie, il servizio buono dei piatti salvato sotto terra e l’amarezza della disoccupazione. Per Mattei, invece, c’è anche quest’azienda che può rimettere in piedi un paese in ginocchio, e non si sbaglia. Scopre infatti che la pianura padana è ricca di metano, che questa risorsa è molto richiesta per uso industriale e domestico, ignora i ripetuti richiami ministeriali di liquidare l’azienda, assume centinaia di giovani ed inizia il lungo percorso che il 10 febbraio 1953 approda alla nascita dell’Eni, Ente nazionale idrocarburi, istituito per la ricerca petrolifera nella Val padana. E per il petrolio che non riesce a trovare in quantità sufficienti nel sottosuolo italiano, stringe rapporti e chiude contratti vantaggiosi con paesi come l’Egitto, l’Iran ed anche l’Unione Sovietica. Il sogno di dare all’Italia l’indipendenza energetica e quindi economica era stato così avviato malgrado l’accanito ostracismo della classe politica liberale contraria all’intervento dello Stato nell’economia, della Confindustria, delle Sette Sorelle, le multinazionali del petrolio ostili alla presenza destabilizzante dell’Eni nel mercato petrolifero, e gli incessanti attacchi della stampa in mano agli industriali del Nord dalla quale Mattei si difende con genialità fondando nel 1956 un quotidiano a diffusione nazionale, “Il Giorno”, che fa la sua prima apparizione poche settimane prima dell’inizio dei lavori dell’Autostrada del Sole. Se le navi erano i “ponti” che collegavano l’Italia al resto del mondo, gli italiani avevano bisogno di una grande arteria che collegasse finalmente il Nord al Sud, quel Sud per il quale l’Eni elabora un piano quinquennale di investimenti e di sviluppo. Nel suo ultimo viaggio, Mattei rientrava a Milano proprio dalla Sicilia.
Guasto all’aereo o sabotaggio, le dinamiche della tragedia ancora oggi sono ingabbiate nelle fitte maglie del mistero, rese ancora più impenetrabili dalle ritrattazioni, i depistaggi, la morte del giornalista Mauro De Mauro che indagava sul caso Mattei e la sparizione del capitolo “Lampi sull’Eni” del libro Petrolio che stava scrivendo Pier Paolo Pasolini. E pensare che l’uomo tra i più potenti e temuti dell’Italia della Prima Repubblica, che ha fatto tremare le Sette Sorelle facendo dell’Eni l’unica vera multinazionale italiana, forse schernendosi, o forse credendoci davvero, ad un giornalista aveva rivolto una bizzarra preghiera “Mi raccomando, scriva che per Mattei il petrolio è un hobby, il suo vero lavoro è la pesca”.
Articolo tratto da Primapagina di Banca Marche – Giugno 2012 n° 60.
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